Vincono solo i ricchi

Mario Sconcerti
Il calcio dei ricchi
Si potrà più vincere senza spendere un tesoro?
Milano, Dalai Editore, 2012
Scheda | Video interviste 01 - 02 (con Cesare Prandelli)

Questa è la storia commentata degli ultimi cinque anni di calcio, un’epoca in cui moltissime cose sono cambiate. Per esempio, sono cambiati l’80 per cento dei tecnici. I migliori sono andati via (Capello, Mancini, Spalletti, Ancelotti, Prandelli, Trapattoni, Sacchi, Lippi) sostituiti da quarantenni che hanno portato il loro modo di giocare. Da qui alcune domande importanti: perché, dopo Totti e Del Piero, da vent'anni non abbiamo più avuto un fuoriclasse? Cosa lo ha impedito? E ancora: perché in Italia il 60% delle squadre gioca con il 3-5-2, schema in quasi totale disuso all'estero  È forza o paura? Sono stati anche gli anni della grande guerra tra Juve e Inter. Calciopoli è stata superata, la Juve era colpevole e ha pagato. Ma molte altre intercettazioni hanno fatto capire che nessuno meritava di essere premiato con uno scudetto. È tempo di rileggere i documenti e calare la vicenda in una realtà che si è dimostrata molto più ampia.
Ma questi cinque anni sono stati soprattutto il periodo in cui il problema economico ha mostrato la faccia reale del calcio: vincono solo i molto ricchi. La bravura sta quasi soltanto nell'avere soldi. È questo che seleziona davvero la conoscenza del campo. I diritti televisivi hanno definitivamente fissato questa differenza in tutta Europa, portando a un’estrema selezione dei vincitori, quindi a un pericolo di noia in tutti i grandi campionati. Basterà il Fair Play finanziario a ridistribuire ricchezza o è già fallito per le trasgressioni concesse al Paris Saint-Germain?
Un’ultima considerazione: in Italia ormai per giocare a calcio bisogna pagare. Una cosa impensabile per il gioco più naturale che esista. Finita la strada, finiti gli oratori, si può solo andare nelle scuole calcio. Ma cosa ha portato questo al calcio? È un vantaggio o un limite? Chi insegna il calcio agli insegnanti di calcio?
Come al solito, Mario Sconcerti difende il suo modo esclusivo di vedere il calcio tra storia, pensiero e tecnica. Si potrà non essere d’accordo su alcune conclusioni, ma non si potrà discuterne l’importanza, e soprattutto il fascino di questo modo di raccontare il calcio.