Alfredo Di Stefano
Vita e prodezze della Saeta Rubia
Praga, Urbone Publishing, 2016
Scheda | Indice, presentazione e prologo
Per il nonno era lo “Stopita”, mentre per i ragazzini del barrio, data la somiglianza fisica e tecnica con un calciatore del River piuttosto popolare in quegli anni, era diventato il “Minellita”. Per tutti, invece, Alfredo Di Stefano, è semplicemente stato la “Saeta Rubia”, iconico apodo coniato dal brillante giornalista Roberto Neuberger ai tempi del River Plate. Sangue italiano, francese e irlandese nelle vene, quella pelota, iniziata a prendere a calcioni tra le viuzze millenarie di Barracas, lo ha ben presto portato in alto. Cresciuto nel River della “Maquina”, all'ombra di un'atomica delantera di cui Pedernera era il leader indiscusso, in quegli anni alla corte di Cesarini, Peucelle e Minella ha temprato carattere e forgiato stile di gioco. Nel '49, uno sciopero lo ha catapultato ai Millonarios di Bogotà, nella Colombia dell'El Dorado. Dal Monumental al Campin. Fiumi di denaro, vita da favola, e carrettate di reti e titoli con il Ballet Azul. Poi, nel '52, un torneo amichevole a Madrid fece scoccare la scintilla con il Vecchio Continente: Bernabeu e Samitier ne restarono folgorati. Barcellona e Real Madrid si faranno la guerra. Alla fine la spunteranno le Merengues: a detta degli azulgrana, aiutati da qualcuno molto in alto. Cambierà la storia. Il Real Madrid dell'ambizioso Bernabeu, a secco di titoli da più di vent'anni, diventerà la squadra più forte e temuta del continente e del globo. L'impatto della Saeta sull'Europa e la Spagna sarà devastante. Con il suo stile unico e inimitabile, Alfredo Di Stefano, todocampista e malabarista - come lo apostroferà più tardi Malevaje in un tango a lui dedicato - a dispetto di quel nove portato sulle spalle con nonchalance, rivoluzionerà il modo di intendere il calcio a Chamartin: basta zapatazos, da adesso alla pelota si da del tu. Otto Liga, una Copa del Rey, ma soprattutto cinque Coppe dei Campioni tutte d'un fiato, sulle quali la Saeta Rubia apporrà la propria inconfondibile griffe, andando a segno in tutte e cinque le finali. Acquisirà la nazionalità spagnola e vestirà, dopo quelle di Argentina e Colombia, anche la prestigiosa casacca delle Furie Rosse. Perseguitato dalla sfortuna, però, dovrà rinunciare a coronare il sogno più grande, quello di disputare un Mondiale. Imprendibile, professionista indefesso, coinvolgente come un bandoneonista e audace come Martin Fierro, l'asso di Barracas è stato, a detta di molti, il più grande di sempre. Con buona pace di Pelè e Maradona.